Il senso scenografico

Con senso scenografico si va altrove con la fantasia, si sopravvivere a terribili e squallidi scenari di vita e si vede che “tutto cambia e scorre in continuo divenire e ogni cosa si trasforma in un’altra”, questo pensiero di Eraclito oggi è più che mai attuale sullo scenario in cui si differenziano, si dividono le cellule staminali . Ma già ai primi del ‘900 Umberto Cesarano, un medico-scrittore, oggi poco ricordato, annotava nel suo taccuino: “la distinzione in corpi viventi e corpi mancanti di vita va ogni giorno sempre più perdendo di valore e scomparendo, a misura che verrà da tutti considerato che una è la materia che entra nella formazione degli esseri, e che è solo dovuto alle forze vitali di essa e alla sua capacità di trasformarsi, di scindersi e di ricomporsi, se il mondo è pieno di tante svariate forme: poiché nulla si crea in natura e nulla si distrugge. Ciò che alla osservazione superficiale sembrerebbe morto, non è che in via di trasformarsi, per assumere altri aspetti, dovendo ubbidire all’ineluttabile legge della Natura che esige la restituzione di tutto quanto ci aveva dato in prestito perché svolgessimo il ciclo e il compito della nostra esistenza” .

In conclusione ciascun individuo vive una diversità biologica tra pensiero figurativo e letterario che il senso scenografico congiunge in un sistema di gente e di cose.

Nella storia dell’arte, per esempio, il brano della prefazione scritta da Giulio Carlo Argan per il bel libro: “Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione”, e che di seguito si riporta, fa pensare a Leonardo e a Klee e a come il loro senso scenografico dia una qualità pittorica alla visione filosofica dell’esperienza artistica. Scrive Argan: “di tutti gli artisti del nostro secolo, Klee è quello che più consapevolmente si discosta dalle grandi linee dei programmi e degli assunti teorici dell’arte moderna allo stesso modo che, di tutti gli artisti del Rinascimento, Leonardo è quello che più consapevolmente si discosta dalle grandi linee dello storicismo e dell’intellettualismo classico. Dunque tanto Leonardo che Klee, nella loro riflessione, non hanno di mira l’oggetto dell’arte, ma piuttosto il modo del suo prodursi […] Ecco perché la riflessione di Leonardo, come poi quella di Klee, investe tutta la dimensione dell’essere, assume come proprio campo l’universo nella sua totalità: poiché l’arte realizza, e sia pure secondo la prospettiva univoca del visibile, una consapevolezza globale della realtà, non v’è momento o aspetto dell’essere che possa considerarsi estraneo o irrelativo rispetto all’esperienza che si compie nell’operazione artistica” .

A complemento di quanto detto del pensiero scenico filosofico e del senso scenografico che lo incrementa si aggiunge un brano di Filiberto Menna, il quale da storico dell’arte dice che è proprio l’esperienza estetica a portare l’attenzione su ciò che vede l’occhio dello spettatore, e in particolare: “su due livelli fondamentali: quello delle Figure, o unità elementari che non denotano o connotano significati, e quello delle Icone, unità linguistiche più complesse, identificabili con veri e propri enunciati iconici” .

E’ con il senso scenografico, “tra ragione analitica e ragione dialettica”, che si fa un’analisi della scena come condizione spazio-temporale di ogni accadimento e si distingue nel luogo della scenografia il duplice aspetto di figura a cui si attribuisce il significato di realtà (Leonardo) e di icona a cui si attribuisce il significato di enunciato (Klee). Si potrebbe dire che “la vergine delle rocce” di Leonardo sia la figura di un luogo di solitudine dove, tra i personaggi raffigurati, sfuma nell’aria la distanza, mentre “la macchina a cinguettio” di Klee sia l’icona di un’aria musicale di un malinconico gioco nello spazio della mente .

Ma cosa accade in letteratura dove non c’è, come in pittura, inquadrata la scena e ugualmente figure o icone documentano fatti, inquadrandoli in fiabe, favole e racconti? Dove si ride leggendo “il re è nudo” (icona di stupidità e di illusione del potere) nella favola “I vestiti nuovi dell’imperatore” di Hans Christian Andersen. E dove si piange con “I sommersi e i salvati” di Primo Levi, inquietante documento di scena di una zona grigia di fatti cruenti della vita. Sono tante le zone grigie, luoghi angosciosi della scenografia, dove si perde quel senso scenografico collettivo che rende liberi, creativi e umani, e dove il grido preistorico che avverte del pericolo oggi si chiama internet.

La storia continua a insegnare che bisogna distinguere grido da grido, che occorre senso scenografico per inquadrare ogni fatto nell’ambiente e ragionare su verità e inganno nell’immenso scenario di vita. Nella memoria restano i ghetti dove erano costretti a vivere gli ebrei e le atrocità compiute dall’umanità su se stessa.

La perdita del senso scenografico collettivo nel sopraggiungere della scaena horribilis è in tanti luoghi e in ogni tempo insieme alla distruzione di valori umani.

Ma come attraverso il senso musicale, anche nella sordità più completa, si può sentire la musica, ugualmente attraverso il senso scenografico, chiudendo gli occhi, si può vedere lo scenario di un mondo migliore e il cambiamento scientifico e umanistico in cui ogni essere umano, sviluppando intelligenza, creatività e collaborazione sia di aiuto gli altri e non solo spettatore, sia parte attiva dell’ambiente, nel vasto territorio in cui vive. E così, in astratto, le azioni umane diventano concrete armi per salvare l’umanità, dal momento che già la natura fa la sua parte per eliminarla.

“La volontà di vita” vuole che l’uomo non si estingua e il senso scenografico di Schopenhauer ci fa vedere come: “gli uomini somigliano a orologi che vengono caricati e camminano, senza sapere il perché; ed ogni volta che un uomo viene generato e partorito, è l’orologio della vita umana di nuovo caricato, per ripetere ancora una volta, fase per fase, con variazioni insignificanti, la stessa musica già infinite volte suonata”. 

Ma di controcanto al poetico pessimismo schopenhaueriano, alla irrazionalità della realtà, la scenografia, filosofia dell’irrazionale razionalizzato, ha centomila immagini e infinite interpretazioni, secodo il punto di vista e il senso scenografico di ogni singolo uomo che guarda la scenografia, fatto sociale e comunicativo, che unisce e separa i pensieri e le azioni umane.